BORSE DI RIENTRO
ELISABETTA LAURO
Si è laureata presso la Folkwang University of Arts (Germania) dove si è perfezionata come interprete solista. Ha lavorato con il coreografo taiwanese Wu Kuo-Chu ed è stata danzatrice ospite in “Sacre du Printemps” di Pina Bausch. Ha fatto parte per sette anni della compagnia stabile di teatrodanza dello Staatstheater Kassel (Germania) diretta prima da Wu Kuo-Chu e poi da Johannes Wieland e ha creato lavori, tra altri, con Malou Airaudo, Wu Kuo-Chu, Johannes Wieland, Jossi Berg/Oded Graf e Rootlessroot. Ha lavorato in qualità di direttrice di prova per il Teatro Stabile di Kassel, la Folkwang University of Arts e il Cloud Gate Dance Theatre (Taiwan). Nel 2011 ha dato vita alla collaborazione artistica Cuenca/Lauro e insieme al danzatore colombiano César Augusto Cuenca Torres ha presentato i lavori “Hay un no sé qué no sé donde”, premiato con una Menzione Speciale della Giuria e il Premio del pubblico al Concorso Internazionale Masdanza18 (Spagna), e “(zero)”, Primo Premio della Giuria Masdanza20 e Premio Equilibrio Roma. Entrambi i lavori sono stati selezionati per diversi circuiti e piattaforme, e hanno girato internazionalmente. Al momento lavora alla creazione dell’assolo “REGENLAND-Elogio del buio”.
Periodo di residenza: da Agosto a Ottobre 2019
Come descriveresti il tuo lavoro
È un lungo e lento lavoro di ricerca. Comincio da un elemento semplice, come una parola o una sensazione, e procedo incamerando e metabolizzando molteplici informazioni di diverso genere che sento in qualche modo connesse all’elemento originario. Il processo ha una natura intuitiva e può essere suddiviso in più o meno quattro fasi: l’incubazione, l’indagine del movimento, la composizione coreografica e la determinazione dell’oggetto intero. Queste fasi si sovrappongono creando un meccanismo abbastanza complesso. Per non perdermi, durante il processo cerco di tenere a mente alcuni punti per me importanti: il corpo e la danza non sono fini a sé stessi, nulla è scontato e il caos è necessario per giungere a un disegno finale.
Hai strumenti e tecniche che utilizzi in particolare?
Ho strumenti e tecniche a cui posso attingere se ne ho bisogno, perché sono quelle di cui ho fatto esperienza durante la mia carriera artistica, ma non mi baso esclusivamente su di esse. Quando lavoro con il corpo cerco di restare coerente con il pensiero che attraversa il processo di creazione, provando a non imporre stili, metodi o altro. So di essere permeata delle cose e delle persone con cui ho studiato e lavorato, ma provo a rimanere il più vicina possibile a me stessa. Utilizzo la tecnica nel training personale per affinare, sensibilizzare e stabilizzare il corpo che è il mio principale strumento. Ciò da cui non posso prescindere è di sicuro l’improvvisazione dato che non mi affido a strutture predefinite o a specifici modi d’indagare il movimento.
Quali sono le tue impressioni e aspettative sugli spazi della Fabbrica Alta e Schio?
Ho imparato che avere aspettative è controproducente. Lavorerò al meglio per dare un senso e un giusto peso a questo periodo presso la Fabbrica Alta. Impressioni ne ho tante e avrò bisogno di tempo e distanza per leggere tra le righe di quest’esperienza. Forse quello che più mi ha colpito, senza starci a pensare su troppo, è la contrapposizione tra lo stato di abbandono della Fabbrica e il grande fermento giovanile di Schio. La Fabbrica è bellissima ed è imponente, ma anche vuota e sola, e al di fuori di essa c’è il fermento del presente, con tanta voglia di fare e tanta energia da investire. Io non sono una tipa da rivoluzione, non rado le cose al suolo per ricominciare, credo però nella vita e nella trasformazione. La Fabbrica ha un’anima che va preservata, ma senza un atto di cura “quotidiano” è destinata a soccombere. Per me è stato incredibile sentire la trasformazione della sala dal mio arrivo a oggi. È sempre gigante, e a volte ho ancora la sensazione che mi inghiotta, ma qui e lì vedo i segni della mia umanità, e quindi so che ci stiamo sostenendo a vicenda.
Ci puoi anticipare qualcosa sulla ricerca e idea che stai portando avanti su Fabbricaltra?
Il mio progetto non è su FabricAltra ma parte di FabricAltra. Sulla linea del percorso di rigenerazione culturale degli spazi industriali e di identificazione di possibili scenari alternativi per un loro riutilizzo, ho la possibilità di “abitare la Fabbrica attraverso il corpo”.
Quindi vivo, lavoro e soprattutto creo al suo interno. Sono arrivata in residenza a fine agosto con un progetto coreografico già in corso e sto sviluppando nella Fabbrica una nuova parte lasciandomi influenzare da alcune peculiarità spaziali della sala in cui lavoro.
Il nome del progetto è “REGENLAND- Elogio del buio” e muove dal desiderio di riscoprire il buio, in risposta alla tanta luce da cui siamo continuamente accecati. È un voler lasciare cadere per un attimo le armi della razionalità accettando l’idea di caduta, trasformazione e mistero.
La Fabbrica, nel suo essere emblema dell’ambizione umana e allo stesso tempo simbolo della sua caducità, entra in modo intimo nel progetto, plasmandolo dall’interno.
Il mio progetto non è su FabricAltra ma parte di FabricAltra. Sulla linea del percorso di rigenerazione culturale degli spazi industriali e di identificazione di possibili scenari alternativi per un loro riutilizzo, ho la possibilità di “abitare la Fabbrica attraverso il corpo”. Quindi vivo, lavoro e soprattutto creo al suo interno. Sono arrivata in residenza a fine agosto con un progetto coreografico già in corso e sto sviluppando nella Fabbrica una nuova parte lasciandomi influenzare da alcune peculiarità spaziali della sala in cui lavoro. Il nome del progetto è “REGENLAND- Elogio del buio” e muove dal desiderio di riscoprire il buio, in risposta alla tanta luce da cui siamo continuamente accecati. È un voler lasciare cadere per un attimo le armi della razionalità accettando l’idea di caduta, trasformazione e mistero. La Fabbrica, nel suo essere emblema dell’ambizione umana e allo stesso tempo simbolo della sua caducità, entra in modo intimo nel progetto, plasmandolo dall’interno.